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Arrigo il savio

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Anton Giulio Barrili
Arrigo il savio

I

L'ultimo giorno di gennaio dell'anno 1882, un signore, alto della persona, dal volto abbronzato e dai baffi grigi, scendeva di carrozza, sulle prime ore del mattino, come a dire fra le otto e le nove, davanti ad un portone della via Nazionale, in Roma. Aveva l'aria assai nobile, era vestito con severa eleganza e andava diritto, con soldatesca balìa, come un colonnello in abito cittadino, che sotto le spoglie inusitate lascia indovinare i suoi trent'anni di spallini. Entrato nell'androne, e osservata non senza stupore la magnificenza delle scale, ascese al secondo piano, dove era scritto, su d'una piastra di porcellana, “Cav. Arrigo Valenti.

– Cavaliere! – esclamò il signore dai baffi grigi. – O che diavolo ha fatto il mio signor nipote, per esser nominato cavaliere? Dei debiti, m'immagino. E saranno certamente assai più di quelli che mi aveva lasciati sospettare la sua lettera ad uno zio che non ha mai visto nè conosciuto. Ahimè! Prevedo, – conchiuse egli, sospirando, – che pagherò anche questa bella piastra di porcellana del Ginori. —

Tirò allora la maniglia del campanello, e un minuto dopo fu aperto l'uscio da un servitore in mezza livrea.

– Chi cerca? – domandò questi.

– Il signor Arrigo Valenti.

– Il cavaliere, – ripigliò il servitore, battendo sul titolo, – non riceve ancora.

– Ah, mi rincresce. Sono arrivato stamane col treno delle sette, e credevo…

– Se il signore vuol lasciar detto il suo nome…

– Volentieri; ecco qua. —

Così dicendo, il signore dai baffi grigi aveva cavato di tasca il portafogli, per prendere un biglietto di visita. Ma ci aveva troppi biglietti di banca: e quelli di visita, o erano affogati nel mucchio dei loro più degni fratelli, o erano stati dimenticati a casa.