Giulio.
Clotilde, sua moglie.
Federico.
Domenico, servo.
Epoca attuale.
Salottino elegante. Armi, coltelli e zaini da caccia alle pareti. Un pianoforte. Due porte laterali. Una porta in fondo, la quale, aperta, incornicia la veduta del parco verdeggiante.
(solo, intento ad aggiustare i mazzolini di fiori freschi nei vasi di maiolica) Come sono grazioso, io, in questa delicata operazione di fanciulla quindicenne! Ecco: la primavera mi dà delle gentilezze sopraffine, dei gusti squisiti e poetici, di cui sono io stesso meravigliato. Carino, questo insieme di rose tee e di mughetti! (Al servo, che entra) Che c'è, Domenico?
La signora ha ordinato tutto il pranzo. Soltanto, desidera sapere se lei, come entre-mets, preferisce i fagiolini al pomodoro o i pisellini al burro.
(con severità) Ma queste sono cose che non mi riguardano. Voi sapete, Domenico, che io mi rimetto al gusto del mio amico Federico. Andate piuttosto a interrogare lui. È lui, oramai, che si occupa delle cose di casa: ve l'ho detto tante volte! (Si sdraia sopra una poltrona che è accanto al tavolino coi fiori.)
C'è poi il commesso del signor Compagnoni. Ha dei saggi di vino da mostrarle, per definire quell'affare.
(svogliato) Dio buono, quale affare?
Non so, mi ha detto così.
Sarà forse qualche affare che mi sta trattando il mio amico, quel caro Federico. Dite a lui tutto. (Chiamando:) Federico! Federico! (Pausa.) Starà in giardino. Domenico, andate a cercarlo, mostrategli i saggi di vino, chiedetegli se preferisce i fagiolini o non so che altro, e lasciatemi tranquillo. (Sbadiglia) Ah!
(guardando di nuovo i fiori) Carino, carino questo insieme di rose tee e di mughetti! Piacerà certamente anche a mia moglie: mughetti e rose tee: che sfumature! che armonia di colori! Oh la pittura e la botanica! Come le amo! Se avessi fatto il pittore, sarei diventato… il primo botanico del mondo!
(entra dalla porta a destra, pian piano, guardando attorno con occhio inquieto, senza esser veduto da Giulio. Ha l'aria turbata, e dal suo volto traspare un misto di malinconia e di timidezza. Avvicinatosi a Giulio, gli mette lievemente una mano sulla spalla.)
(alzandosi, voltandosi, squadrandolo da capo a piedi, gli domanda, in un tono fra di fastidio e di sorpresa.) Ohè, dico, che hai?
Che hai?
(facendo un gesto annunziante una deliberazione irremissibilmente presa, dice con voce ferma, che è, però, uno sforzo:) Giulio, ti voglio parlare.