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Storia delle cinque gloriose giornate di Milano nel 1848

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Antonio Vismara
Storia delle cinque gloriose giornate di Milano nel 1848

FINO AL 1848

Grave compito è quello di stendere spassionata storia, giacchè più spesso o per malignità della natura umana, o per simpatie che uno scrittore nutra per dati uomini o per date forme di governo o di indirizzi morali, o perchè il tempo non abbia permesso che i fatti venissero dal freddo soffio della storia presentati nella loro nudità e nella concatenazione che hanno nel movimento cosmico, ne avviene che le storie sieno o svisate o esagerate o mentite; ragione che suggerì a Montesquieu quelle dure parole che: Les histoires sont des faits faux composés sur des faits vrais, ou bien à l'occasion des vrais1.

Noi ci siam preposti di attenerci scrupolosamente al vero, nè di scostarvici nemmeno per amor di patria o di libertà.

Noi riteniamo che importante sia la storia che presentiamo, perchè è storia di eroiche gesta di un popolo che, perchè volle,—e fortemente volle,—seppe riacquistarsi la propria libertà; seppe rivendicare diritti che la prepotenza del più forte gli aveva rapiti; di un popolo che dalla disperazione di un grave servaggio seppe inspirarsi a forti sensi, e vincere,—perchè

Una salus victis nullam sperare salutem2.

Imparino da essa i nepoti le forti virtù del cittadino che ha la coscienza della propria dignità, dei proprii dritti! Conosca come il perseverar ne' forti propositi conduca a raccogliere larga messe anche da arido terreno! Comprenda che non è vivere il trascinare i giorni nel servaggio, e come non si possa sperare miglioramento nella tirannide fuorchè da' disperati propositi di un animo ardito, di volontà perseverante e di un braccio vigoroso; giacchè il tiranno non muta sensi per ragion qualsiasi:—può simular pentimento nella sventura, ravvedersi non mai! Il sangue de' tiranni, cantò Byron, non è sangue umano: essi, come demonii incarnati, si abbeverano del nostro sino a che non venga il tempo di renderlo alle tombe:—a quelle ch'essi hanno tanto popolate3.—Veda infine il popolo che santo è il morir pella patria; giacchè in tal caso si muor nel mondo, ma si rivive ne' cuori, e s'acquista onor di pianti

Ove fia santo e lagrimato il sangue
Per la patria versato, e finchè il sole
Risplenderà su le sciagure umane4.

La storia delle cinque giornate vivrà eterna in Italia finchè il sentimento dell'onor nazionale, dell'amor patrio e della gratitudine a'caduti non sian soffocati colla libertà e colla morte politica della patria.

Prima però d'intraprendere la storia di quelle giornate riteniamo utile dare uno sguardo fuggevole agli anni che precedettero quell'epoca: e lo facciamo.

Sin dal 1815 noi vediamo l'esistenza della setta dei Carbonari e dei Calderari. Nel luglio 1820 i Carbonari del regno di Napoli principiaron la rivoluzione che si estese anche alla Sicilia, e che, trionfante, obbligò quel re a giurare una costituzione che spergiurava ben tosto e soffocava nel sangue. In Lombardia pure cospirarono i Carbonari, ma furon repressi con eccessivo rigore; fra questi s'annoverò Silvio Pellico da Saluzzo, che venne condannato al carcere duro nella fortezza dello Spielperg in Moravia.

Nel 1821 regnava in Piemonte Vittorio Emanuele I, principe buono, di mediocre ingegno, di carattere irresoluto: da Napoli penetrata in Piemonte la rivoluzione per mezzo delle società segrete, essa trovò appoggio in Carlo Alberto, e vi scoppiò nel marzo di quell'anno. Vittorio Emanuele, legato colle potenze estere nella promessa di non concedere costituzione, anzichè darla spergiurando, abdicò nulla concedendo. Ma la concesse Carlo Alberto, nominato reggente; annullandola poi tosto Carlo Felice, successo nel regno a Vittorio Emanuele. Carlo Alberto fu allontanato allora e spedito in Spagna a combattervi la trionfante insurrezione.

Pel Lombardo-Veneto nel 1821 siedette una commissione terribile in Venezia, incaricata di redigere i processi de' Carbonari che avevano agitate le provincie lombarde e venete. La commissione era presieduta dal conte Guglielmo Gardani, ed aveva per membri Salvotti e Tosetti; segretario n'era De Rosmini. A Milano arrestavasi, a Venezia si procedeva. Fra i primi arrestati vi furono Castilia, Palavicini e Confalonieri: a Venezia fra i prigionieri vi furon da principio condotti anche Silvio Pellico, Pietro Maroncelli, Canova, il professor Rossi. Con sentenza 29 agosto 1821 di quella Commissione si condannava a morte Antonio Solera, D. Felice Foresti, Costantino Munari, Antonio Villa, Giovanni Bachiega, Marco Fortini (sacerdote), conte Antonio Oroboni della Fratta, marchese G. B. Canonici, Giuseppe Delfini, Pietro Rinaldi, Francesco Cechetti, Giovanni Monti e Vincenzo Caravieri, quali rei di delitto d'alto tradimento.