Tilde Ricchetti
Ernesto Ricchetti suo marito
Gustavo Franchesi
Nino Lovigiani
Bice, sorella di Tilde
Camerieri d'un Hôtel a Sorrento
Cameriera di casa Ricchetti
La scena, al primo atto, è a Sorrento. Al secondo e al terzo atto, è a Napoli.
Dal secondo al terzo atto, passano sei mesi.
Un salotto dell'appartamentino che Tilde Ricchetti occupa in un hôtel di Sorrento. – Seggiole leggere, seggiole a bracciuoli, un sofà, una tavola con su giornali, riviste, libri e oggetti di scrittoio. Una sola porta a destra, una sola porta a sinistra. Nel centro della parete di fondo, un'ampissima finestra nel cui vano l'azzurro luminoso del cielo brulica di scintille, come per una festa dell'aria. Di su, dal parapetto della finestra, verdeggiano nel sole le cime degli aranci e dei limoni del giardino sottostante.
(Quando si alza il sipario, la scena è vuota. Si ode cantare, a grande lontananza, l'ultima strofa dell'antica canzone «Santa Lucia» con accompagnamento di chitarra e mandolino. È una delle canzoni che i forestieri sogliono chiedere ai cantori ambulanti napoletani:)
O dolce Napoli,
O suol beato
Ove sorridere
Volle il creato,
Tu sei l'impero
Dell'armonia.
Santa Lucia!
Santa Lucia!
Coretto – Tu sei l'impero
Dell'armonia,
Santa Lucia!
Santa Lucia!
(entra dalla porta a destra, quasi come fuggisse. Si lascia cadere sul sofà, abbandonando la fronte alla spalliera, col viso tra le mani, e mormorando:) Che cosa ho fatto! Che cosa ho fatto!
(in costume di ciclista – dopo qualche istante – entra dalla stessa porta e resta interdetto, mortificato, non sapendo in che modo regolarsi. Indi balbetta:) Tilde!.. Signora Tilde!.. Signora Ricchetti!.. Fatevi coraggio!.. Ve ne supplico… Fatevi coraggio!.. Voi dimenticherete… Io dimenticherò…
(voltandosi di botto) Ah? Saprete anche dimenticare?
No… Dicevo soltanto per confortarvi. Vi vedo afflitta… Vi vedo desolata…
Per voi, è un nonnulla ciò che è accaduto?
Per me?.. Per me è un avvenimento straordinario!
Ma ci pensate voi? Ci pensate?
Io ci penso.
Noi non ci conosciamo che da quindici o sedici giorni. È enorme! E poi, chi siete voi? Chi siete? Siete un ragazzo.
Questo no!
Sì, sì, un ragazzo, perchè un uomo alla vostra età non è che un ragazzo. E io mi sono lasciata prendere da voi così… come un giocattolo.
Ma che giocattolo! Io vi amo.
(adiratissima) Con una violenza da bambino impertinente e maleducato!
(si mortifica sempre più e non osa guardarla.)
È inutile oramai che vi atteggiate a timidità. A chi credete di darla a bere con quella faccia da seminarista?
Io non…
Silenzio! (Pausa.) Ah! io lo so quello che vorreste dirmi. Voi vorreste dirmi che non ce ne avete avuto colpa che per metà. Vorreste dirmi che se io vi avessi respinto con uguale violenza, che se vi avessi dato un pugno in un occhio, forse ora non avrei niente a deplorare. Con quella impudenza che vi distingue, sareste capace di dirmele queste cose: non è così? (Breve pausa.) Ma parlate, Dio buono! Confermate, rettificate, negate, aprite la bocca per farne venir fuori una parola qualunque.
Mi avete detto: «silenzio!».