Io non so per che cagione cotesti Signori si abbiano a maravigliar tanto che io mi sia per alcune settimane ritirato alla campagna, e in un angolo di una Provincia come e' dicono. Ella nò che non se ne maraviglia punto; la qual pur sa à che fine io mi vada cercando varj paesi, e quali cose io m'abbia potuto trovare in questa Campagna. Qui lungi dal tumulto di Parigi vi si gode una vita condita dà piaceri della mente; e ben si può dire che a queste cene non manca nè Lambert nè Moliere. Io do l'ultima mano à miei Dialoghi, i quali han trovata molta grazia innanzi gli occhi così della bella Emilia, come del dotto Voltaire; è quasi direi allo specchio di essi io vò studiando i bei modi della culta conversazione che vorrei pur transferire nella mia Operetta. Ma che dira ella se dal fondo di questa Provincia io le manderò cosa che dovriano pur tanto desiderare cotesti Signori inter beatæ sumum & opes strepitumque Romæ? Questa si è il Cesare del nostro Voltaire non alterato o manco, ma quale è uscito delle mani dell' Autore suo. Io non dubito che ella non sia per prendere, in leggendo questa Tragedia, un piacer grandissimo; e credo che anch'ella vi ravviserà dentro un nuovo genere di perfezione à che si può recare il Teatro Tragico Francese. Benchè un gran paradosso parrà cotesto a coloro che credono spenta la fortuna di quello insieme con Cornelio e Racine, e nulla sanno immaginare sopra le costoro produzioni. Ma certo niente pareva, non sono ancora molti anni passati, che si avesse a desiderare nella Musica vocale dopo Scarlatti, o nella strumentale dopo Corelli. Pur nondimeno il Marcello e il Tartini ne han fatto sentire che vi avea così nell'una come nell'altra alcun termine più là. Intantochè egli pare non accorgersi l'uomo de' luoghi che rimangono ancora vacui nelle Arti se non dopo occupati. Così interverrà nel Theatro; e la Morte di Giulio Cesare mostrerà nescio quid majus quanto al genere delle Tragedie Francesi. Che se la Tragedia, a distinzione della Commedia, è la imitazione di un'azione che abbia in se del terribile e del compassionevole, è facile à vedere, quanto questa che non è intorno à un matrimonio o à un amoretto, ma che è intorno à un fatto atrocissimo e alla più gran rivoluzione che sia avvenuta nel più grande imperio del mundo, è facile dico à vedere quanto ella venga ad essere più distinta dalla Commedia delle altre Tragedie Francesi, e monti dirò così sopra un coturno più alto di quelle. Ma non è già per tutto ciò che io credo che i più non sieno per sentirla altrimenti. Non fa mestieri aver veduto mores hominum multorum & urbes per sapere che i più bei ragionamenti del mondo se ne vanno quasi sempre con la peggio quando egli hanno à combattere contra le opinioni radicate dall'usanza e dall'autorità di quel sesso, il cui imperio si stende fino alle Provincie scientifiche. L'Amore che è Signor dispotico delle scene Francesi vorrà difficilmente comportare, che altre passioni vogliano partire il regno con esso lui; e non sò come una Tragedia dove non entran donne, tutta sentimenti di libertà e pratiche di politica, potrà piacere là dove odono Mitridate fare il galante sul punto di muovere il campo verso Roma, e dove odono Cesare medesimo che novello Orlando si vanta di aver fatto giostra con Pompeo in Farsaglia per i belli occhi di Cleopatra. E forse che il Cesare del Voltaire potrà correre la medesima fortuna à Parigi che Temistocle, Alcibiade e quegli altri grandi uomini della Grecia corsero in Atene; i quali erano ammirati da tutta la Terra e sbanditi à un tempo medesimo della patria loro.
Come sia, il Voltaire ha preso in questa Tragedia ad imitare la severità del Teatro Inglese, e segnatamente SaKespeare uno de' loro Poeti, in cui dicesi, e non à torto, che vi sono errori innumerabili e pensieri inimitabili, faults innumerable and thoughts inimitable. Del che il suo Cesare medesimo ne fà pienissima fede. E ben ella può credere che il nostro Poeta ha fatto quell'uso di Sakespeare che Virgilio faceva di Ennio. Egli ha espresso in Francese le due scene ultime della Tragedia Inglese, le quali, toltone alcune mende, sono come quelle due di Burro e di Narciso con Nerone nel Britannico, due specchi cioè di eloquenza nel persuadere altrui le cose le più contrarie tra loro sullo stesso argomento. Ma chi sa se anche da questo lato, voglio dire a cagion della imitazione di SaKespeare, questa Tragedia non sia per piacere meno che non si vorrebbe? A niuno è nascosto come la Francia e l'Inghilterra sono rivali nella Politica, nel Commercio, nella gloria delle armi e delle lettere.
Littora littoribus contraria fluctibus undæ
E si potrebbe dare il caso la Poesia Inglese fosse accolta a parigi allo stesso modo della Filosofia che è stata loro recata dal medesimo paese. Ma certo dovranno sapere i Francesi non picciolo grado à chi è venuto ad arricchire in certa maniera il loro Parnasso di una sorgente novella. Tanto più che grandissima è la discrezione con che ad imitare gl'Inglesi s'è fatto il nostro Poeta, come colui che ha trasportato nel Teatro di Francia la severità delle loro Tragedie senza la ferocita. Nella quale idea d'imitazioni egli ha di gran lunga superato Addissono, il quale nel suo Catone ha mostrato a' suoi non tanto la regolarità del Teatro Francese quanto la importunità degli amori di quello. E con ciò egli è venuto à corrompere uno de' pochissimi Drammi moderni, in cui lo stile sia veramente tragico, e in cui i Romani parlino Latino, à dir così, e non Spagnuolo.
Ma un romore senza dubbio grandissimo ella sentirà levarsi contro à questa Tragedia, perchè ella sia di tre Atti solamente. Aristotile egli è il vero, parlando nella Poetica della lunghzza dell' azione teatrale non si spiega così chiaramente sopra questa tal divisione in cinque Atti, ma ognuno sa quei versi della Poetica Latina:
Neve minor neu sit quinto productior actu
Fabula quae posci vult & spectata reponi.
Il qual precetto da Orazio per la Commedia egualmente che per la Tragedia. Ma se pur vi ha delle Commedie di Moliere di trè Atti e non più, e che ciò non ostante son tenute buone, non so perchè non vi possa ancora essere una buona Tragedia che sia di tre Atti, e non di cinque.
– — Quid autem
Cæcilio Plautoque dabit Romanus ademptum
Virgilio Varioque?
E forse che sarebbe per lo migliore se la maggior parte delle Tragedie di oggidì si riducessero a trè Atti solamente; dacchè si vede che per aggiungere i cinque, il più degli Autori sono pur stati costretti ad appiccarvi degli Episodi, i quali allungano il componimento e ne sceman l'effetto, snervando come fanno l'azione principale. E il Racine medesimo per somiglianti ragioni compose gia l'Ester di tre Atti e non più. Che se i Greci nelle loro Tragedie benchè semplicissime furono religiosi osservatori della divisione in cinque Atti, è da far considerazione, oltre che per lo più gli Atti sono anzi brevi che nò, che il coro vi occupa una grandissima parte del Dramma.
Io non so se quivi io bene m'apponga; questo so certo che mi giova parlare di Poesia con esso lei che ne potrebbe esser maestro come ella ne è talora leggiadrissimo artefice. Pollio & ipse facit nova carmina. Sicchè ella bien saprà scorgere la bellezza di questa Tragedia, molti versi della quale hanno di gia occupato un luogo nella mia memoria, e vi risuonan dentro in maniera che io non gli potrei far tacere. E pigliando principalmente ad esaminare la costituzione della favola, ella potrà meglio giudicare di chichesia se il Voltaire siccome ha aperto tra' suoi una nuova carriera così ancora ne sia giunto alla metà. Ma che non vien ella medesima à Cirey à communicarci le dotte sui riflessioni? ora massimamente che ne assicurano essere per la pace già segnata composte le cose di Europa. Niente allora quì mancherebbe al desiderio mio, e à niuno potrebbe parer nuovo in Parigi che io mi rimanessi in una Provincia.
Cirey 12. Octobre 1735.
Les Romains.
Licteurs.
Cesar, tu vas régner; voici le jour auguste,
Où le peuple Romain, pour toi toujours injuste
Changé par tes vertus, va reconnaître en toi
Son vainqueur, son appui, son vengeur, & son Roi.
Antoine, tu le fais, ne connaît point l'envie.
J'ai chéri plus que toi la gloire de ta vie;
J'ai préparé la chaîne où tu mets les Romains,
Content d'être sous toi le second des humains,
Plus fier de t'attacher ce nouveau Diadème,
Plus grand de te servir que de régner moi-même.
Quoi! tu ne me répons que par de longs soupirs!
Ta grandeur fait ma joie, & fait tes déplaisirs!
Roi de Rome & du Monde, est-ce à toi de te plaindre?
Cesar peut-il gémir, ou Cesar peut-il craindre?
Qui peut à ta grande âme inspirer la terreur?
L'amitié, cher Antoine; il faut t'ouvrir mon coeur.
Tu sais que je te quitte, & le destin m'ordonne
De porter nos drapeaux aux champs de Babylone.
Je pars, & vai venger sur le Parthe inhumain
La honte de Crassus & du peuple Romain.
L'aigle des légions, que je retiens encore,
Demande à s'envoler vers les mers du Bosphore;
Et mes braves soldats n'attendent pour signal,
Que de revoir mon front ceint du bandeau royal.
Peut-être avec raison Cesar peut entreprendre
D'attaquer un pays qu'a soumis Alexandre.
Peut-être les Gaulois, Pompée & les Romains,
Valent bien les Persans subjugués par ses mains.
J'ose au moins le penser; & ton ami se flate
Que le vainqueur du Rhin peut l'être de l'Euphrate.
Mais cet espoir m'anime, & ne m'aveugle pas.
Le sort peut se lasser de marcher sur mes pas:
La plus haute sagesse en est souvent trompée;
Il peut quitter Cesar, ayant trahi Pompée;
Et dans les factions, comme dans les combats,
Du triomphe à la chute il n'est souvent qu'un pas.
J'ai servi, commandé, vaincu, quarante années;
Du Monde entre mes mains j'ai vu les destinées;
Et j'ai toujours connu qu'en chaque évenement
le destin des Etats dépendait d'un moment.
Quoi qu'il puisse arriver, mon coeur n'a rien à craindre;
Je vaincrai sans orgueuil, ou mourrai sans me plaindre.
Mais j'exige en partant, de ta tendre amitié,
Qu'Antoine à mes enfans soit pour jamais lié;
Que Rome par mes mains défenduë & conquise,
que la Terre à mes fils, comme à toi, soit soumise;
Et qu'emportant d'ici le grand titre de Roi,
Mon sang & mon ami le prennent après moi.
Je te laisse aujourdhui ma volonté dernière.
Antoine, à mes enfans il faut servir de père.
Je ne veux point de toi demander des sermens,
De la foi des humains sacrés & vains garans;
Ta promesse suffit, & je la crois plus pure
Que les autels des Dieux entourés du parjure.
C'est déjà pour Antoine une assez dure loi,
Que tu cherches la guerre & le trépas sans moi,
Et que ton intérêt m'attache à l'Italie,
Quand la gloire t'appelle aux bornes de l'Asie.
Je m'afflige encor plus de voir que ton grand coeur
Doute de sa fortune, & présage un malheur:
Mais je ne comprens point ta bonté qui m'outrage,
Cesar, que me dis-tu, de tes fils, de partage?
Tu n'as de fils qu'Octave, & nulle adoption
N'a d'un autre Cesar appuyé ta maison.
Il n'est plus tems, ami, de cacher l'amertume,
Dont mon coeur paternel en secret se consume.
Octave n'est mon sang qu'à la faveur des lois:
Je l'ai nommé Cesar, il est fils de mon choix,
Le destin, (dois je dire, ou propice, ou sévère?)
D'un véritable fils en effet m'a fait père,
D'un fils que je chéris, mais qui pour mon malheur,
A ma tendre amitié répond avec horreur.
Et quel est cet enfant: Quel ingrat peut-il être,
Si peu digne du sang dont les Dieux l'ont fait naître?
Ecoute: Tu connais ce malheureux Brutus,
Dont Caton cultiva les farouches vertus,
De nos antiques lois ce défenseur austère,
Ce rigide ennemi du pouvoir arbitraire,
Qui toujours contre moi, les armes à la main,
De tous mes ennemis a suivi le destin;
Qui fut mon prisonnier aux champs de Thessalie;
A qui j'ai malgré lui sauvé deux fois la vie,
Né, nourri loin de moi chez mes fiers ennemis.
Brutus! il se pourrait…
Ne m'en crois pas. Tien, lis.
Dieux! la soeur de Caton, la fière Servilie!
Par un hymen secret elle me fut unie.
Ce farouche Caton, dans nos premiers débats,
La fit presqu'à mes yeux passer en d'autres bras:
Mais le jour qui forma ce second hyménée,
De son nouvel époux trancha la destinée.
Sous le nom de Brutus mon fils fut élevé.
Pour me haïr, ô Ciel! était-il reservé?
Mais lis: tu sauras tout par cet écrit funeste.
Cesar, je vais mourir. La colère céleste
Va finir à la fois ma vie & mon amour.
Souvien-toi qu'à Brutus Cesar donna le jour.
Adieu. Puisse ce fils éprouver pour son père
L'amitié qu'en mourant te conservait sa mère!
(Servilie)
Quoi! faut il que du sort la tyrannique loi,
Cesar, te donne un fils si peu semblable à toi?
Il a d'autres vertus; son superbe courage
Flate en secret le mien, même alors qu'il l'outrage.
Il m'irrite, il me plaît. Son coeur indépendant
Sur mes sens étonnés prend un fier ascendant.
Sa fermeté m'impose, & je l'excuse même,
De condamner en moi l'autorité suprême.
Soit qu'étant homme & père, un charme séducteur,
L'excusant à mes yeux, me trompe en sa faveur;
Soit qu'étant né Romain, la voix de ma patrie
Me parle malgré moi contre ma tyrannie;
Et que la liberté que je viens d'opprimer,
Plus forte encor que moi, me condamne à l'aimer.
Te dirai-j encor plus? Si Brutus me doit l'être,
S'il est fils de Cesar, il doit haïr un Maître.
J'ai pensé comme lui, dès mes plus jeunes ans;
J'ai détesté Sylla, j'ai haï les Tyrans.
J'eusse été Citoyen, si l'orgueilleux Pompée
N'eut voulu m'opprimer sous sa gloire usurpée.
Né fier, ambitieux, mais né pour les vertus,
Si je n'étais Cesar, j'aurais été Brutus.
Tout homme à son état doit plier son courage.
Brutus tiendra bientôt un différent langage,
Quand il aura connu de quel sang il est né.
Croi-moi, le Diadème à son front destiné,
Adoucira dans lui sa rudesse importune;
Il changera de moeurs, en changeant de fortune.
La nature, le sang, mes bienfaits, tes avis,
Le devoir, l'intérêt, tout me rendra mon fils.
J'en doute. Je connais sa fermeté farouche:
La secte dont il est n'admet rien qui la touche.
Cette secte intraitable, & qui fait vanité,
D'endurcir les esprits contre l'humanité,
Qui dompte & foule aux pieds la Nature irritée,
Parle seule à Brutus, & seule est écoutée.
Ces préjugés affreux, qu'ils appellent devoir,
Ont sur ces coeurs de bronze un absolu pouvoir.
Caton même, Caton, ce malheureux Stoïque,
Ce Héros forcené, la victime d'Utique,
Qui fuyant un pardon qui l'eût humilié,
Préféra la mort même à ta tendre amitié;
Caton fut moins altier, moins dur, & moins à craindre,
Que l'ingrat qu'à t'aimer ta bonté veut contraindre.
Cher ami, de quels coups tu viens de me frapper!
Que m'as-tu dit?
Je t'aime, & ne te puis tromper.
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